Robert Satloff, Tra i Giusti – storie perdute dell’Olocausto nei paesi arabi. Marsilio
La ricerca di Satloff, direttore del Washington Institute for Near East Policy, è nata in reazione ai fatti dell’11 settembre 2001. Idea motrice è stata la considerazione che il mondo «arabo» – qui inteso come una complessa miscela di etnicità, religione, nazionalismo e razza (pp. 14, 22) – è sempre rimasto escluso dalla «campagna globale» volta a mantenere vivo il ricordo della Shoah: nei paesi arabi non s’insegna cos’è stato lo sterminio degli ebrei né in relazione al tema dei moderni genocidi, né in relazione al concetto di tolleranza. L’obiettivo, «a prescindere dai legami che l’Olocausto può avere con il conflitto che contrappone [questi paesi] a Israele», è stato proprio quello di combattere tale ignoranza. A tal fine, Satloff ha scelto una strada originale: evitare lo scontro frontale su di un argomento ancora interdetto (si pensi al successo del relativismo e del negazionismo in tutta l’area mediorientale) e rendere intelligibile la Shoah facendola entrare a far parte del passato arabo (pp. 18-19).L’indagine si è rivelata molto più complessa di quanto non fosse nelle previsioni dell’autore, per quanto egli partisse dalla consapevolezza che non un solo arabo era compreso nei «Giusti tra le Nazioni» riconosciuti dalla Corte suprema israeliana (vi figurano invece musulmani di Albania, Bosnia o Turchia). Il risultato è un racconto avvincente. Dapprima sono ricostruite sinteticamente fasi e modalità dello sterminio nel Nordafrica, in una vasta zona che andava da Casablanca al Cairo, passando per Tripoli. Nel periodo giugno 1940 – maggio 1943, francesi (vichysti), tedeschi e italiani non solo vi applicarono decreti di discriminazione e confisca (talvolta più vessatori che in Europa), ma vi imposero anche lavori forzati, deportazioni ed esecuzioni. Seguono capitoli di approfondimento sui temi della collaborazione araba con gli occupanti (dall’indifferenza complice al servizio zelante) e del soccorso prestato agli ebrei (dal sostegno morale al salvataggio eroico). Sono soprattutto le pagine sui “giusti” che mettono in luce gli ostacoli incontrati da Satloff: l’indifferenza, se non ostilità, di molte famiglie arabe di fronte alla rivelazione di azioni virtuose (è il caso, ad esempio, di Mohamed Chenik); il mancato accesso, in Marocco, a qualsiasi documento ufficiale sulla costruzione, tramite il lavoro dei deportati, della mai completata ferrovia transahariana; il vano tentativo di rintracciare un «”Wallenberg arabo”, naufragato di fronte al silenzio di diplomatici, intellettuali e politici egiziani; le reticenze di molti ebrei, soprattutto coloro che ancora oggi vivono nel Nordafrica, nel riconoscere le sofferenze delle comunità. Tanto più pregevole è l’esito di questa ricerca che rivela per la prima volta diverse storie esemplari, come quelle di Si Ali Sakkat, Si Kaddour Benghabrit o Khaled Abdelwahhab (quest’ultimo è stato selezionato, nel gennaio del 2007, per il riconoscimento di «Giusto tra le Nazioni»; il procedimento è tuttora in corso).