Siamo a fine aprile del 1945. Il 28, a Dongo, Mussolini è ucciso dai partigiani. Anche nell’estremo nord d’Italia, tacciono le armi. Ovunque la Pace s’avvicina e con essa la gioia per la ritrovata Libertà! Trieste sta vivendo una vigilia densa di trepide attese.
All’alba del 30 aprile 1945 imbraccia le armi contro i Tedeschi: questi ormai sono retro-guardie, pur combattive e non disposte a cedere. L’insurrezione è capeggiata dal Col. Antonio Fonda Savio e da un religioso, Don Edoardo Marzari. Tra le migliaia d’insorti troviamo i rappresentanti dei risorgenti partiti politici italiani e molti Militari dei Carabinieri, della Guardie di Finanza, e della Guardia Civica. Fra loro non ci sono comunisti.
Dopo sanguinosi scontri a fuoco i “Volontari della Libertà”, a sera, hanno il controllo di buona parte della città, issano il Tricolore sul palazzo comunale e sulla Prefettura. I Tedeschi rifiutano di arrendersi per consegnarsi agli Alleati.
Il 1° maggio, fra lo stupore, che poi diviene costernazione, i “liberatori” che arrivano in città sono i partigiani jugoslavi. Fin dai primi contatti si avverte che questi non sono migliori dei Tedeschi!
Disconoscono i “Volontari della Libertà” e, costringono i partigiani del CLN a rientrare nella clandestinità. Invano i nostri Patrioti cercano punti d’incontro. Per la parola “Italia”, per la Bandiera nazionale e per la Libertà “vera” ci sono soltanto porte chiuse. Per contro “stelle rosse”, bandiere rosse con falce e martello e Tricolore con stella rossa al centro vengono imposti ovunque.
Le milizie Jugoslave, giunte a Trieste a marce forzate per precedere gli anglo americani nella “liberazione” della Venezia Giulia, non contengono nessuna unità partigiana italiana inserita nell’Esercito jugoslavo mandate a operare altrove.
Gli Slavi assumono i pieni poteri. Nominano un Commissario Politico, Franc Stoka, comunista filo slavo. Emanano ordinanze sconcertanti per la illiberalità. Impongono, a guerra finita, un lungo coprifuoco. Limitano la circolazione dei veicoli. Dispongono il passaggio all’ora legale per uniformare la Città al “resto della Jugoslavia”! Fanno uno smaccato uso dello slogan “Smrt Fazismu – Svoboda Narodu”, “Morte al Fascismo – Libertà ai popoli”, per giustificare la licenza di uccidere chi si suppone possa opporsi alle mire annessionistiche di Tito.
Prelevano dalle case i cittadini, in media cento al giorno, pochi fascisti o collaborazionisti, ma molti Combattenti della Guerra di Liberazione: ciò perché agli occupatori sta a cuore dimostrare di essere solo loro i liberatori del capoluogo giuliano.
L’otto maggio proclamano Trieste “città autonoma” nella “Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia”. Sugli edifici pubblici fanno sventolare la bandiera Jugoslava affiancata dal Tricolore profanato dalla stella rossa. L’unico quotidiano è “Il nostro Avvenire”, schierato in funzione anti italiana.
In città vige il terrore, si scopre presto dove vanno a finire i prelevati. Nelle foibe! O nei campi di concentramento, come quello di Borovnica, anticamera della morte. Arresti indiscriminati, confische, requisizioni, violenze d’ogni genere, ruberie, terrorizzano ed esasperano i Triestini che invano richiedono l’aiuto del Comando Alleato.
Le espressioni di Monsignore Santin, Vescovo di Trieste e Capodistria descrivono l’atmosfera che si respirava in città:
“Vivissimo era l’allarme e lo spavento invadeva tutti… In città dominava la violenza contro tutto ciò che era italiano. Tutti i giorni dimostrazioni di Sloveni convogliati in città, bandiere jugoslave e rosse imposte alle finestre. Centinaia e centinaia d’inermi cittadini, Guardie di Finanza e Funzionari civili, prelevati solo perché Italiani, furono precipitati nelle foibe di Basovizza e Opicina. Legati con filo spinato, venivano collocati sull’orlo della foiba e poi uccisi con scariche di mitragliatrice e precipitati nel fondo. Vi fu qualcuno che, colpito, cadde sui corpi giacenti sul fondo e poi, ripresi i sensi per la frescura dell’ambiente, riuscì lentamente di notte ad arrampicarsi aggrappandosi alle sporgenze e ad uscirne. Uno di questi venne a Trieste da me e mi narrò questa sua tragica avventura”.
Finalmente gli Angloamericani bisognosi di disporre del porto di Trieste, constatato che Tito si rivelava ogni giorno di più inaffidabile e simile ad Hitler, intimano alle truppe slave di ritirarsi. Il 9 giugno a Belgrado, il leader iugoslavo, verificato che Stalin non era disposto a sostenerlo, fa arretrare le sue truppe.