In un’autobiografia, Norberto Biso racconta, parlando dei suoi tre mesi di permanenza nel campo di Borovnica.
Quando entrammo nel campo fummo suddivisi in gruppi di circa trecento persone e avviati verso le baracche. Queste erano leggermente sollevate dal suolo, avevano forma rettangolare ed erano abbastanza vaste da contenerci tutti. Non c’era niente all’interno, non un tavolo e neppure un giaciglio. E così ci rassegnammo a dormire sul pavimento di legno (…) per i nostri bisogni usavamo delle fosse, larghe e profonde circa un metro e lunghe tre, dotate di parapetto e tientibene. Nonostante questi accorgimenti, quando la dissenteria cominciò a infierire, non furono in pochi a cadere negli escrementi e a trovarvi una orribile fine. Quando questo accadeva si tappava la fossa con dentro il cadavere e se ne scavava un’altra un pò più in là.
(…) La tortura più orrenda l’ho vista infliggere a un prigioniero che non era dei nostri (…) Il ragazzo fu appeso a un palo davanti a noi: indossava solo calzoni e fu a lungo bastonato sul petto con un sottile bastone che gli lacerava le carni, mentre il suo aguzzino gli intimava di gridare “Zivio Tito”. La risposta flebile ma ferma era sempre la stessa: “Heil Hitler”. (…) La tortura continuò con ripetuti lanci di una tegola che colpì quello sventurato in varie parti del corpo, facendolo sanguinare abbondantemente. Il poveretto non reagiva: emetteva solo un flebile lamento, assolutamente inadeguato al dolore che doveva provare. Lo sentii urlare solo quando il suo aguzzino gli fece un buco nella carne con un coltello, in corrispondenza del muscolo pettorale, e passò dentro questo buco una corda che prese poi a tirare. Per sua fortuna quel supplizio durò poco, perché il ragazzo svenne. Lo fecero rinvenire con una secchiata d’acqua e lo deposero dal palo. Gli slegarono i polsi e lo sospinsero a calci verso il ruscello. “Lavati”, gli dissero, facendolo cadere nell’acqua con uno spintone. Intontito e con i polsi spezzati il poveretto non poteva ubbidire. Lo colpirono allora con una serie di calci sulla testa e lo fulminarono poi con una raffica di mitra che pose fine al suo tormento (…).
La vita a Borovnica, testimoniata anche dai ricordi personali di Rossi Kobau, andava al di là delle condizioni di sopportabilità umana ed era al limite della sopravvivenza.
I cosiddetti pasti vengono distribuiti ogni secondo giorno e consistono in un quarto di litro di acqua calda con bucce di patate provenienti dai pasti delle nostre guardie. Siamo tutti nelle stesse condizioni: gambe scheletriche. Spigoli alle spalle in rilievo, occhi sbarrati e un peso medio che si aggira fra i 30 e 40 chili.
(…) sveglia con una sirena manuale alle 2,30 d’estate e alle 6,30 d’inverno, segue appello e formazione delle squadre di lavoro.
Lungo le marce di trasferimento molti prigionieri crollavano per lo sfinimento. Decine e decine di chilometri senza cibo. Coloro che cadevano e non riuscivano a rialzarsi venivano fucilati senza pietà. Il lavoro era durissimo, per dodici, sedici ore al giorno: ti sistemavano una o due fette di legno sulle spalle. Il peso varia molto tra pezzo e pezzo (…) comunque una buona media può essere due pezzi da 10 e 15 chili ciascuno, oppure uno solo da 20 o 30 chili.
La temperatura poteva variare dai 35° gradi dell’estate ai -35° dell’inverno e l’abbigliamento era sempre lo stesso:
(…) canottiera rotta, un paio di mutande di tela di quando ero bersagliere, una camicia stracciata, una giacca del Regio Esercito, due pezzi di stoffa per avvolgere i piedi, un paio di zoccoli.
I prigionieri potevano essere uccisi in qualsiasi momento, per la più piccola trasgressione o, anche, semplicemente perché così decidevano:
(…) dagli interrogatori i più escono con i denti rotti, con lividi su tutto il corpo, con gli occhi tumefatti e con il sangue che fluisce dalle narici e dalla bocca.
Il terrore e la morte a Borovnica si possono fissare in due periodi precisi. Fine maggio – metà luglio 1945 e ottobre – dicembre stesso anno. Riferendomi al primo periodo, quello in cui si conta ormai il settanta per cento dei nostri deceduti, si verificano scene feroci anche fra i prigionieri, ormai abbruttiti dalla fame e dalle sofferenze.
Il comandante del lager di Borovnica era Ciro Raner, il quale ha potuto godere fino alla sua morte di una pensione INPS.