Hannah Arendt (Hannover, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975)
E’ stata una politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense in seguito al ritiro della cittadinanza tedesca nel 1937. Dopo aver lasciato la Germania nazista , a causa delle persecuzioni dovute alle sue origini ebraiche, rimase apolide dal 1937 al 1951, anno in cui ottenne la cittadinanza statunitense.
Lavorò come giornalista e docente universitaria e pubblicò opere importanti di filosofia politica. Rifiutò sempre di essere categorizzata come filosofa, preferendo che la sua opera fosse descritta come teoria politica invece che come filosofia politica.
Nata da una famiglia ebraica a Linden, località oggi parte del comune di Hannover, e cresciuta a Königsberg prima (città natale del suo ammirato precursore Immanuel Kant) e Berlino poi, la Arendt fu studentessa di filosofia di Martin Heidegger all’Università di Marburgo. Dopo aver chiuso questa relazione, Hannah Arendt si trasferì a Heidelberg dove si laureò con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino, sotto la tutela del filosofo e psichiatra Karl Jaspers.
La tesi fu pubblicata nel 1929, ma, per via delle sue origini ebraiche, nel 1933 le fu negata la possibilità di ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche.
Nel 1929 sposò il filosofo Günther Anders, da cui si separò nel 1937. Successivamente lasciò la Germania per Parigi, dove conobbe il critico letterario marxista Walter Benjamin. Durante la sua permanenza in Francia, Hannah Arendt si prodigò per aiutare gli esuli ebrei fuggiti dalla Germania nazista. Dopo l’invasione e occupazione tedesca della Francia durante la seconda guerra mondiale, e il conseguente inizio delle deportazioni di ebrei e ebree verso i campi di concentramento tedeschi, Hannah Arendt dovette nuovamente emigrare. Nel 1940 sposò il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, con cui emigrò (assieme a sua madre) negli Stati Uniti d’America, con l’aiuto del giornalista statunitense Varian Fry. Divenne attivista nella comunità ebraica tedesca di New York, e scrisse per il periodico in lingua tedesca Aufbau.
Dopo la seconda guerra mondiale si riconciliò con Heidegger. Durante un processo in cui era accusato di aver favorito il regime nazista testimoniò in suo favore.
Tra il 1960 e il 1962 seguì il processo di Adolf Eichmann, un criminale nazista, dal quale prese spunto per scrivere La banalità del male. Morì il 4 dicembre 1975 in seguito ad un attacco cardiaco e fu sepolta al cimitero del Bard College, in Annandale-on-Hudson, New York.
Nel suo resoconto del processo ad Eichmann per il New Yorker (che divenne poi il libro La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme, 1963) Arendt ha sollevato la questione che il male possa non essere radicale: anzi è proprio l’assenza di radici, di memoria, del non ritornare sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se stessi (dialogo che Arendt definisce due in uno e da cui secondo lei scaturisce e si giustifica l’azione morale) che personaggi spesso banali si trasformino in autentici agenti del male. È questa stessa banalità a rendere, com’è accaduto nella Germania nazista, un popolo acquiescente quando non complice con i più terribili misfatti della storia ed a far sentire l’individuo non responsabile dei propri crimini, senza il benché minimo senso critico.