La rosa bianca, regia di Marc Rothemund con Julia Jentsch, Gerald Alexander Held, Johanna Gastdorf, Fabian Hinrichs, André Hennicke – Germania 2005
Il 17 febbraio del 1943, quando il governo tedesco dichiarò caduta e perduta Stalingrado, un gruppo di studenti dell’università di Monaco si convinse che la fine della guerra fosse ormai prossima. Otto mesi di bombardamenti continuati e le numerose perdite di soldati sul fronte orientale accrebbero l’ottimismo e l’euforia del movimento di resistenza studentesco de La Rosa Bianca. I tempi e il popolo tedesco erano maturi per il loro sesto volantino rivoluzionario. Furono i fratelli Scholl, Hans e Sophie, a offrirsi volontari e a immolarsi, ignari, per la causa. Quella mattina di febbraio centinaia di volantini di denuncia contro i crimini nazisti vennero disseminati lungo i corridoi degli atenei. Un gesto azzardato che divenne il loro punto di non ritorno: sorpresi da un sorvegliante, furono interrogati dalla Gestapo, processati dalla Corte Popolare di Giustizia e condannati alla ghigliottina in soli cinque giorni.
I fratelli Scholl, così come tutti i membri della resistenza che nei mesi successivi furono rintracciati e indagati, “peccarono” di entusiasmo: all’epoca dei fatti nessuno di loro avrebbe potuto prevedere che la guerra sarebbe durata ancora due anni, ma soprattutto nessuno di loro capì quanto lontani fossero i tedeschi dal prendere coscienza dell’orrore del quale finirono per essere complici. Alcuni testimoni raccontarono il lungo applauso che accolse il ritorno in accademia del sorvegliante delatore.
La storia de La Rosa Bianca e dei fratelli Scholl non è nuova al cinema tedesco, il regista Marc Rothemund è stato preceduto negli anni Ottanta da due connazionali, gli autori Percy Adlon e Michael Verhoeven. Questa volta però ci troviamo davanti a un’opera con un diverso respiro e con una diversa storia, che prende avvio ed è favorita dal ritrovamento di documenti inediti conservati per decenni negli archivi della Germania Est e resi pubblici soltanto nel 1990. A partire dai verbali originali degli interrogatori e dalle numerose testimonianze, come quella della compagna di cella Else Gebel, Rothemund costruisce un film dove il 90% delle parole e delle azioni sono autentiche, riservandosi soloo in due occasioni di sviluppare una sua verità.
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