Mimmo Lombezzi, Bosnia. La torre dei teschi. Lessico di un genocidio, Baldini & Castoldi 1996
I massacri, gli stupri, le torture e tutti le efferatezze connesse non sono spiegabili, secondo l’autore, solo alla luce di motivazioni razionali ma alla base vi è il retaggio di una mentalità collettiva che individua, forse inconsapevolmente, le radici della propria identità in un tempo mitico, antecedente la costituzione dello stato o della nazione. Si tratta di un’identità per definire la quale gli aggettivi “nazionale” o “etnica” non sono adeguati. La storia stessa è una storia costruita sulla mitizzazione del proprio risentimento. E questa elaborazione mitica non appartiene più ai serbi che ai croati, più ai musulmani che agli ortodossi: tutti la condividono e tutti concorrono con le stesse responsabilità al disastro generale. Tutti, a turno, vittime e carnefici, nel bisogno di un riscatto che ogni gruppo ritiene di dover far pagare all’altro a prezzo di fiumi di sangue. Gli episodi di ordinaria ferocia sono descritti senza orpelli retorici, e risultano tanto più sconvolgenti quanto più appaiono banali nella loro dinamica elementare. Come elementari sono le passioni che li hanno determinati: odio allo stato puro, paura che oscura la ragione, desiderio di annientamento del nemico e così via. Quasi a riecheggiare la tesi arendtiana della “banalità del male” in assenza di solidi riferimenti a una comune scala di valori. Non mancano, per altro, indicazioni sulle responsabilità di quanti, politici, militari o diplomatici, avrebbero potuto e dovuto leggere, interpretare e prevenire lo scatenarsi di forze così distruttive, che hanno riportato indietro di un cinquantennio la ruota della storia nel cuore dell’Europa.