Ursula Hirschmann, Noi senzapatria, Mondadori

 

 

Se c’è stata una ‘Heimat’, una patria per l'”europea errante” autrice di questo libro, essa ha avuto sempre il volto di Berlino, la città che, dopo essere stata negli anni Venti il teatro accogliente e amato della sua adolescenza, con il distacco dell’esilio e le devastazioni della guerra le si doveva precocemente mutare, nelle nuove dimore di Parigi, Trieste, Roma, in luogo irrecuperabile della memoria. E Berlino è il centro sentimentale attorno a cui si dispongono le tessere di questi ricordi. Come dalle istantanee di un album, dagli intensi e pungenti ritratti qui allineati riaffiorano le dolcezze di un vivere ben arredato e protetto, seppure non privo di ipocrisie e tensioni, entro una famiglia della borghesia ebraica; la Berlino dei quartieri operai, madre elettiva allorché l’adolescente si scioglie dall’abbraccio familiare e si dà all’impegno severo della cospirazione politica; e ‘Berlino che non è più Berlino’, infine, quale appare alla visitatrice che, ormai matura ‘signora italiana’, vi fa ritorno dopo molti anni e lì si riconosce senza più patria. Un senso acerbo di lutto corre sulle vie e le piazze ridotte in macerie, sugli amici perduti, sugli affetti lacerati dalla morte; su tutto un mondo scomparso che una sollecitudine pietosa ma ostinatamente antiretorica ha consegnato alle pagine emozionanti di questo libro.

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