La Iugoslavia federale era costituita da sei repubbliche (Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia) e due regioni autonome unite alla Serbia (Kosovo e Vojvodina).
Con la morte di Tito, nel 1980, scoppiano le tensioni politiche che sono all’origine della guerra civile tra le varie repubbliche che componevano lo Stato federale. Dal 1990 al 1999, con un precedente nel 1989, quando la Serbia si oppone all’autonomia del Kosovo, le parti in guerra utilizzano a più riprese l’arma della pulizia etnica per prevalere e per eliminare definitivamente l’avversario.
I dati sull’entità dello sterminio sono ancora provvisori: la continua scoperta di fosse comuni ne rende incerta la valutazione. In Bosnia, secondo un censimento compiuto dalle Nazioni Unite, fino al 1994 si registrano: 187 fosse comuni, contenenti, ciascuna, dai 3000 ai 5000 cadaveri; 962 campi di prigionia, per un totale di circa mezzo milione di detenuti; 50.000 casi di tortura; 3000 stupri. Alla fine della guerra interetnica, nel 1995, si contarono 250.000 civili uccisi, tra i quali 16.000 bambini, e oltre 3.000.000 di profughi. La responsabilità primaria è da attribuirsi ai serbi, che hanno dato inizio al conflitto, preparato da lungo tempo; ma responsabili sono anche i croati e i musulmani, che a loro volta hanno praticato l’epurazione etnica nei confronti degli altri gruppi.
Il Tribunale per i crimini di guerra nell’ex-Iugoslavia, con sede all’Aja, istituito nel 1993, ha sino ad oggi incriminato 91 persone, tra le quali Radovan Karadzic, presidente della repubblica serbo-bosniaca dal 1992, Ratko Mladic, suo generale e Slobodan Milosevic, presidente della repubblica serba dal 1992.
A partire dal 1990-1991, con la dichiarazione di indipendenza da parte delle repubbliche di Slovenia e Croazia, si spezza la fragile convivenza ed equilibrio di popolazioni appartenenti a diversi ceppi etnici (serbo, albanese, croato, ungherese, rom), con storie e religioni diverse (cristiani, cattolici e ortodossi; musulmani; ebrei).
L’occasione storica è propizia per la realizzazione della grande Serbia.
Già nel 1937 gli estremisti nazionalisti serbi avevano preparato un programma genocidario per il Kosovo, con l’obiettivo di ripulire la Serbia degli elementi stranieri, deportando la popolazione kosovara verso l’Albania e la Turchia.
Nel corso della seconda guerra mondiale, peraltro, gli Ustascia (“insorti”, movimento fascista fondato nel 1928 da Ante Pavelic, con lo scopo di combattere per l’indipendenza della Croazia) usano in Croazia il metodo della pulizia etnica nei confronti dei Serbi, compiendo un vero e proprio massacro genocidario (300.000 vittime serbe). Su queste vicende storiche si costituisce la certezza serba di rappresentare il “bene”, mentre i croati vengono giudicati “il popolo che ha il genocidio nel sangue”.
Il movente principale va ricercato nel nazionalismo esasperato, coltivato non solo dai serbi, ma da tutte le parti in causa, che si configura qui come una contrapposizione di tipo etnico- religioso.
A questo va aggiunta una rivolta delle campagne contro le città e dei sobborghi periferici contro il centro, secondo un’ideologia che vedeva le città come luoghi di perdizione e la campagna come autentica e originaria fonte della nazione. L’architetto serbo Bogdanovic parla di “urbicidio”, inteso come “opposizione manifesta e violenta ai più alti valori della civiltà”.
La pulizia etnica, ovvero il tentativo di rendere una data area etnicamente omogenea, usando la forza e l’intimidazione per allontanare da essa persone di un altro gruppo etnico o religioso, caratterizza il decennio 1990-1999, nel corso del quale sia i serbi sia i croati tentano di istituire territori etnicamente omogenei attraverso una guerra totale che coinvolge i civili, rinchiudendoli in lager, e che usa, oltre all’eliminazione fisica e all’espulsione dei membri di altre etnie, anche lo stupro etnico. Il periodo può essere diviso in tre fasi:
1 dal giugno al dicembre del 1991 con gli scontri che accompagnano le dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croazia.
2 dal febbraio del 1992 al dicembre dal 1995, fase legata alla dichiarazione di indipendenza della Bosnia-Erzegovina, che si conclude con gli accordi di Dayton, che definiscono i territori delle tre etnie: musulmana, serba, croata.
3 dal 1998 al 1999, in cui si vede il tentativo da parte del Kososvo di ottenere l’indipendenza e quindi la nazione serba fermata dall’intervento Nato.
E anche in questo contesto di tutti contro tutti, di odio radicato e profondo, di voglia di pulizia etnica si segnalano alcune figure che seppero opporsi e dire di no, rischiando in prima persona la vita e l’emarginazione sociale ed economica. Due nomi fra tutti:Lazar Manojlovic e Jovan Divjak