I lager sovietici
GULag è l’acronimo, introdotto nel 1930, di Gosudarstvennyj Upravlenje Lagerej, Direzione centrale dei lager.
Nel 1918, con l’inizio della guerra civile, fu creata una vasta rete di campi di concentramento per gli oppositori politici. Nel 1919 venne creata la sezione lavori forzati. Il lavoro coatto era previsto come mezzo di redenzione sociale dalla stessa costituzione sovietica. Oltre alla funzione economica e punitiva, alcuni lager ebbero anche la funzione di eliminazione fisica dei deportati. Comunque, le condizioni generali entro le quali i deportati erano costretti ad operare rendevano naturale la morte per stenti.
Disseminati nei luoghi più inospitali dell’URSS, dalle isole Solovki alla Kolyma, una zona mineraria siberiana, i lager sovietici furono 384.
Oltre ai lager veri e propri vennero istituite le “zone di popolamento speciale”, per la colonizzazione e lo sfruttamento delle regioni più inabitabili dell’URSS. Il sistema GULag caratterizzò tutto il periodo leniniano e staliniano e cominciò ad essere riformato soltanto dopo la morte di Stalin, avvenuta nel 1953.
Nel 1956 ne rimanevano 37. La chiusura dell’intero Arcipelago si avrà nel 1987, con Gorbaciov. Si deve allo scrittore Aleksandr Solzenicyn l’espressione “Arcipelago GULag”, titolo di un’opera monumentale e fondamentale, pubblicata nel 1971. Andrej Sacharov e Andrej Sinjavskij furono altri scrittori del dissenso che fecero conoscere all’estero l’universo dei Gulag.
Le cifre dello sterminio sono ancora molto incerte. Si calcola che all’interno del sistema GULag siano passate tra i 15 e i 20 milioni di persone, ma che contemporaneamente non ne siano state presenti più di 3 milioni.
Il tasso di mortalità mensile in certi lager superava il 10%; a Kolyma, con temperature di 50-60° sottozero, raggiungeva il 30%.
Il sistema GULag si inserì, poi, nel contesto generale del Grande Terrore scatenato da Stalin negli anni 30 e rappresentò solo uno dei metodi di eliminazione degli avversari, “dei traditori” e soprattutto dei nemici di classe. Uno per tutti, l’Holodomor («fame di massa») utilizzato in Ucraina all’inizio degli anni ’30 per piegare la resistenza dei contadini alla collettivizzazione della terra e che portò a oltre 7 milioni di morti, la gran parte bambini, per fame programmata.
Alla fine furono varie decine di milioni le vittime del comunismo sovietico all’epoca di Stalin anche se una cifra esatta non è possibile averla. Solzenycin e altri dissidenti hanno ipotizzato la cifra di 60 milioni.
La responsabilità di questo sistema concentrazionario, che ha fatto uso del terrore ed ha imprigionato persone che appartenevano a tutte le classi sociali, è tanto di Lenin, che ne è stato l’iniziatore, quanto di Stalin, che, con l’avvio dei piani quinquennali, ha ampliato e potenziato il sistema di lavoro coatto. Con loro ne portano la responsabilità anche la potente polizia segreta, l’NKVD, tutto il sistema giudiziario sovietico e i dirigenti ai quali il sistema fu dato in gestione. Tra questi, Lavrentji Beria, uno dei più feroci collaboratori di Stalin, che alla fine degli anni Trenta organizzò anche un laboratorio segreto per sperimentare sui detenuti gli effetti dei veleni chimici.
Lenin in una lettera del 1922 scriveva: ” I tribunali non devono eliminare il terrore (…) Il principio del terrore va radicato e legalizzato senza ambiguità o abbellimenti”. La stessa linea verrà seguita da Stalin. I tribunali rivoluzionari prima, e poi le cosiddette “trojke”, triumvirati di estrazione politica, ebbero il compito di condannare alla deportazione nei lager sia i criminali comuni sia i controrivoluzionari.
Per questi ultimi esisteva un articolo apposito del Codice penale, l’art.58.
Il regime sovietico considerava i criminali comuni “socialmente vicini”, compagni che hanno sbagliato e possono essere redenti. Al contrario i condannati secondo l’art.58 erano considerati “socialmente estranei”, dei nemici irrecuperabili, per i quali il lager era la destinazione finale.
L’ideologia alla quale si ispira il potere sovietico è il marxismo–leninismo, che si proponeva di creare una società nuova, eliminando innanzitutto quei gruppi sociali che erano considerati nemici di classe. Il regime instaurato in URSS presenta le caratteristiche di un vero e proprio sistema totalitario, col potere nelle mani di un partito che si identifica con lo Stato e agisce in base ad un’ideologia dominante, che definisce gli obiettivi da raggiungere. La società di massa era completamente controllata dai mezzi di comunicazione e dall’onnipresente polizia segreta. Il mezzo più economico ed efficace usato per mantenere il controllo sulla popolazione ed eliminare il dissenso fu il terrore, che investì ad ondate successive tutte le componenti della società sovietica e in modo assolutamente arbitrario. E’ il fenomeno del nemico oggettivo ovvero di un nemico che non si definisce in base alla sua ostilità verso i detentori del potere, ma in base ad una scelta arbitraria, finalizzata al mantenimento del potere sull’intera società.
Dapprima entrarono nei GULag i nemici naturali dello stato sovietico, i nemici di classe: la nobiltà russa, gli imprenditori, i proprietari terrieri, il clero ortodosso e, in generale, tutti i gruppi considerati privilegiati.
In seguito le purghe riguardarono tutti i settori della società sovietica, compresi i prigionieri di guerra scampati ai lager nazisti e gli specialisti di vari settori, necessari all’attività produttiva dei lager.
Una menzione particolare va fatta per gli ostaggi, scelti tra persone di livello sociale elevato, con lo scopo di ricattare parenti ed amici.
All’interno dei campi uomini e donne lavoravano a ritmi disumani, controllati da una gerarchia interna di capisquadra scelti tra i criminali comuni.
La costruzione di dighe, canali, strade, nuovi insediamenti urbani, l’estrazione mineraria e la produzione di legname furono tra le attività più frequentemente demandate al lavoro coatto. Le condizioni climatiche spesso estreme, la fame perenne, le fucilazioni arbitrarie, i ritmi di lavoro massacranti e finalizzati al raggiungimento di obiettivi produttivi impossibili, la costante violenza psicologica tesa all’annientamento della volontà individuale furono le caratteristiche costanti dei GULag sovietici.
Quando nell’agosto 1946 il premier britannico Winston Churchill pronunciò all’Università di Fulton, Missouri, il famoso discorso della “cortina di ferro”, nessuno in Occidente poteva anche lontanamente immaginare che, al di là di quella metaforica divisione che si ergeva “da Stettino a Trieste”, la soppressione della libertà avesse raggiunto, già da decenni, una scientifica applicazione di morte.